RCretrocomputer 0 MC-story

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MC story

Solo quando questo numero celebrativo di MCmicrocomputer era quasi tutto finito mi sono reso conto che non poteva mancare almeno una breve storia di ciò che stiamo celebrando. Non è facile… ci provo, senza riflettere troppo.

Vado indietro fino al 1971: in quegli anni la tecnologia era molto meno presente di oggi nelle nostre teste e nelle nostre vite. Io frequentavo il secondo liceo classico, e la mia scuola propose un corso di programmazione in Fortran. Ricordo che pensai “ma ti pare che uno si mette a programmare i computer”; eppure ero appassionato di matematica e tecnologia in genere.


Un giorno la mia Honda CB125 era dal meccanico e, non so perché, venne a prendermi a scuola mio cugino, e poi andammo a prendere mia madre che usciva dall’ufficio.
In macchina, Gianfranco (Binari) ci raccontò che, insieme a due amici e due fidanzate (la sua e quella di uno dei due) avevano deciso di fondare una rivista, la prima vera rivista di alta fedeltà italiana: Suono Stereo Hi Fi. Io, che ero stato contagiato da mio padre per la passione per la fotografia, e che stampavo le foto nel bagno, pochi mesi prima avevo comprato, con i miei risparmi, una Nikon. “Tu fai le fotografie”, fu la comunicazione perentoria. Non potevo, né ne avevo intenzione, dire di no. Dopo pochi mesi, però, cominciai anche a scrivere. Nell’ora di filosofia mi capitava di stendere appunti sulla “catena hi fi”, la serie di articoli che mi era stata affidata. Devo accelerare un po’ il racconto per non fare una enciclopedia…

Mi iscrivo a ingegneria… compro (mi faccio comprare) la mia prima calcolatrice… allento un po’ la collaborazione… la ricomincio con la rubrica Suono per tutti… che una volta dedico alle calcolatrici programmabili, partendo da una locandina che avevo visto nella sede di ingegneria di San Pietro in Vincoli, mi incuriosisco e vado a vedere. Ci ritorno sopra… ma un bel giorno qualcuno riporta dall’America dei dépliant di computer, che lì si stanno cominciando a diffondere… e scrivo il primo articolo di informatica personale apparso su una rivista italiana, lo intitolo provocatoriamente “Anni ‘80 allarme il computer invade”. Appare l’idea di fare una rivista tutta dedicata a questo nascente fenomeno, in fin dei conti negli Stati Uniti già ce ne è qualcuna… E a settembre del 1979 esce, allegato a Suono, il primo numero di Micro & Personal Computer, la prima rivista italiana tutta dedicata all’informatica personale e che non nasce come “abbassamento” di riviste già esistenti e dedicate all’informatica professionale, quella dei camici bianchi. Nel frattempo, nota personale, lascio l’università, faccio (grosso modo) il militare e mi sposo.

Di Micro & Personal figuro come “coordinatore”, anche se in pratica… faccio quasi tutto. La rivista va bene, la casa editrice un po’ meno, dopo undici numeri un gruppo di noi decide di staccarsi e fondarne una propria, la Technimedia.
Il primo numero di MC esce al SIM, il Salone Internazionale della Musica di Milano, il 3 settembre del1981. Io sono “troppo giovane” (27 anni) per chiamarmi direttore e quindi divento condirettore, qualifica che pigramente mi rimane per ben 184 numeri, quando in realtà – come noto a tutti – sono solo io a dirigere la rivista. Dico pigramente perché per me l’importante è fare e non l’etichetta che ci si appone, ma a posteriori dico che questa non fu una cosa sensata. Piccolo aneddoto, una volta mi sono sentito maldestramente presentare come “il facente”, attributo che nelle intenzioni voleva anche essere segno di riconoscimento (infatti ho scritto maldestramente).

MCmicrocomputer, devo dire, parte a gonfie vele, conquista subito la leadership indiscussa come vendite sia di copie sia di pubblicità. Motivazione di questo successo una serie di fattori, che si riassumono nell’essere fatta considerando come proprio datore di lavoro il lettore, e non l’inserzionista. Le inserzioni, quando i lettori ci sono, vengono da sé, e se un inserzionista si lamenta pazienza, si cerca cortesemente di fargli capire che è la verità che comanda e non ciò che fa piacere scrivere o veder scritto. Fondamentale è il ruolo del “parco lettori”: il personal computer non è di massa ma per una nicchia di persone “al di sopra della media”, nicchia che si allarga con l’espansione del mercato. A furia di allargarsi il mercato diviene di massa, e lì non diventa più la sostanza tecnica e culturale ad avere il maggior peso, ma il marketing. E’ a quel punto che “gli altri” cominciano ad avvicinarsi, parlo della seconda metà degli anni ‘90 quando il nome Internet non faceva più pensare a una squadra di calcio ma a dei computer che si parlano.

Devo fare un inciso un po’ delicato e molto doloroso.
La casa editrice non pubblicava solo MCmicrocomputer, ma operava da subito (1981) anche nel settore dell’alta fedeltà, e dal 1987 in quello degli orologi e della nascente telematica (MC-link). L’alta fedeltà fu una perdita continua e consistente (arrivò a due miliardi in un anno, per dare un ordine di grandezza), l’orologeria fu attiva per un po’ di tempo (fino a tangentopoli, più o meno…) e la telematica un investimento paragonabile a quello dell’hi fi.

Faccio un inciso nell’inciso, per cinque anni (dal 1990) contemporaneamente ad MC ho diretto anche Orologi, fu divertente e stimolante e devo dire “sorprendente” il confronto fra la concretezza del mercato informatico e la “etereità” di quello degli orologi, basato molto di più sulla conservazione di tecniche affascinanti che sullo sviluppo di nuove.
Per parecchi anni gli introiti di MC bastarono a pareggiare i conti, ma questo ovviamente significò non utilizzare il margine della rivista per consolidarla e rafforzarla, anzi da un certo punto mi venne imposto di smettere di “fare pubblicità”, e naturalmente fu un suicidio perché fu nel momento dell’espansione del mercato verso le masse che, ovviamente, non ci conoscevano e si rivolgevano agli editori più famosi. Tentai di spiegare che era demenziale che ricavassimo un sacco di soldi dalla pubblicità e non ne spendessimo per pubblicizzare il nostro prodotto, ma ero vox in deserto clamantis, probabilmente perché unico socio coinvolto nella produzione di MC, e non ci ho potuto fare nulla, così come probabilmente per la stessa ragione “abbiamo” rifiutato le richieste di acquisto della casa editrice da parte di editori consolidati, che con estrema probabilità avrebbero posto uno stop alle iniziative non remunerative.

Nel 1998 MC stava perdendo terreno e inserzionisti ed aveva assoluto bisogno di “cure”. Io ero avvelenato e fu così che, alla fine di aprile del 1998, proposi di dividere in due l’azienda, iniziativa che fu accolta favorevolmente ma – per ragioni sulle quali sorvolo – fu deciso di smembrare il tutto in quattro parti come i quattro settori. Questa operazione richiese l’inconcepibile bellezza di undici mesi :“uno di MC” esasperato mise nel suo ufficio con scritto “la settimana prossima è quella definitiva”, e aveva ragione a lamentarsi della lungaggine). Gli undici mesi non fecero certo bene ad MC, provate voi a stare undici mesi senza medicine e vediamo… ma ormai il dado era tratto e iniziai l’era Pluricom: la mia idea era che MC dovesse diventare la rivista orizzontale capogruppo di una serie di riviste verticali, dedicate: Byte Italia per la cultura (ma avevamo già cominciato a farla nell’ultimo periodo Technimedia), PC-imaging per la foto digitale, WoW World of Web per la telematica, Check Point per i giochi, Enigma Amiga Life per l’Amiga, con una parentesi Fictionaire per la fantascienza, più una sezione dedicata ai corsi (sia per la patente europea del computer, ECDL, sia più specifici.

Ma iniziai Pluricom con la consapevolezza di avere bisogno dell’ingresso di un socio in grado di portare il capitale necessario per il rilancio che ormai andava misurato in miliardi e non in centinaia di milioni, quindi non era alla mia portata. Conoscevo bene il fondatore di un’azienda distributrice di materiale informatico che aveva un grosso fatturato, molti punti vendita, una notevole presenza pubblicitaria: i presupposti per fare un buon lavoro c’erano, gli cedetti la maggioranza della casa editrice e il socio che avevo dovette rinunciare alla sua partecipazione.


Dante, alla fine della Divina Commedia, dice “a l’alta fantasia qui mancò possa”: più o meno voleva dire che il discorso si faceva troppo complicato e la finiva lì… ecco, vorrei dire qualcosa di simile. La Pluricom visse due anni, con la continua supplica da parte mia di non erogare solo l’ossigeno (uguale coprire mancanze) ma anche le medicine (uguale investire per rilanciare), perché dopo due anni il capo si stufò, sia perché aveva da combattere con la borsa sia perché aveva fatto un pessimo investimento nell’acquisizione di un’altra casa editrice di uno molto furbo, e dopo aver detto (estate 2001) che la società sarebbe stata liquidata (quindi pagando tutto e tutti e con la possiblità di continuare l’attività cedendo le testate) mi spedì in redazione (autunno) una ragazzetta ventiseienne con la delega a portare i libri in tribunale e nessuna possibilità di interazione dialettica.

Il numero 219 di MC non è mai uscito perché, a giugno, più o meno dissi “io con questi presupposti il numero in tipografia non ce lo porto”; era quasi tutto pronto, mancava solo il mio editoriale, ho ancora un paio di contenitori con il materiale, li vedete nelle tre foto qui sotto. Insomma fu così che si conluse ignominiosamente la bella storia di una bella rivista, alla vigilia del compimento del suo ventesimo anno di età.

Mi avvelena che non sia stata adguatamente “sostenuta” in Technimedia, mi avvelena che sia stata ammazzata creando fastidio e danno per i lettori (avevo già fatto la lista degli abbonamenti da rimborsare) e per alcuni fornitori (il tipografo innanzi tutto, che ci ha dato a lungo fiducia ed aquistava la carta per nostro conto): questa fu una grande scorrettezza contro la quale non potei fare nulla (ma sono coinvolto anche io che, oltre ad aver lavorato gratis per un anno, non avevo ritirato delle garanzie all’ingesso del nuovo socio che si è ben guardato di provvedere).
Non so se sono riuscito in queste righe a raccontare la MC story con la concretezza dovuta per il rispetto di chi legge ma con la ahimé necessaria misura per evitare di aprire bocca e darle fiato sbattendo i pugni sul tavolo come il mio cuore avrebbe avuto ragione di fare.

Continuo a ringraziare i lettori per la fiducia e la partecipazione che hanno avuto per tanti anni e che ancora ricordano, e anche dell’imposizione (perché tale è stata, con tanto di minacce!) per costringermi a fare questa “cosa” di RCretrocomputer, come la ho definita nell’editoriale.

Bisogna vedere se piace, diceva Totò, e aggiungeva “a me piace”. Ecco, appunto.

Ciao!

Nell’immagine qui sotto ci sono tutte le copertine di MC, con l’anno e il mese: il numero a destra è il numero dell’ultima rivista della riga e serve per identificare le uscite.
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